Colonna Vertebrale: L'ANGOLO DELLO SPECIALISTA ORTOPEDICO DR. MARINO ARCHETTI: STENOSI CANALARE LOMBARE.
Scritto da Compagnoni il 16 Giu 2010 - 11:50 17779

Per stenosi del canale vertebrale si intende un’abnorme ristrettezza del canale vertebrale osseo e/o dei forami intervertebrali, responsabile di una compressione del sacco durale e/o delle radici spinali.

La diagnosi di instabilità e di stenosi del canale vertebrale lombare si basa sulla valutazione del quadro clinico, sullo studio radiografico, sugli accertamenti neuroradiologici e sulla elettromiografia.

L’instabilità vertebrale è una perdita dell’integrità del controllo intersegmentale da parte dei tessuti molli con conseguente debolezza potenziale e facilità al cedimento sotto stress (Newmann 1973). Più recentemente , il concetto di instabilità, come condizione in cui il movimento del rachide si sviluppa al di là dei normali movimenti misurabili radiograficamente (Nachemson 1989, Posner et al. 1980), ha avuto una evoluzione con l’introduzione del concetto di instabilità clinica non associata ad ipermobilità (Sano et al. 1990; Tsuji 1986). Si possono distinguere due aspetti della instabilità lombare: quella strutturale e quella clinica. La instabilità strutturale può essere identificata con lo studio radiografico oppure durante l’intervento chirurgico. La instabilità clinica è caratterizzata da sintomatologia e segni clinici di instabilità in assenza di segni radiografici. E’ una alterazione anatomo-patologica che si può realizzare in seguito ad interventi di decompressione posteriore o nella fase iniziale di una patologia degenerativa discale o articolare. La presenza di aderenze della dura e delle radici nervose può provocare sintomi e segni clinici di instabilità vertebrale per piccoli movimenti del rachide, movimenti che possono essere ulteriormente ridotti da uno stato di contrattura permanente della muscolatura paravertebrale.

   Per stenosi del canale vertebrale si intende un’abnorme ristrettezza del canale vertebrale osseo e/o dei forami intervertebrali, responsabile di una compressione del sacco durale e/o delle radici spinali. In base a questa definizione, non da tutti condivisa, varie alterazioni statiche e dinamiche del rachide possono determinare una stenosi ed essere responsabili di molteplici quadri clinici. La sola valutazione delle dimensioni e della morfologia del canale vertebrale può essere insufficiente per un adeguato inquadramento nosologico. Il limite tra il normale (canale stretto) e il patologico può essere di difficile valutazione. Gli attuali mezzi diagnostici, oltre allo studio delle dimensioni e della morfologia del canale vertebrale, ci consentono una valutazione eziologica delle alterazioni anatomo-patologiche per poter elaborare sia una classificazione in base alla sede che alla eziologia della stenosi. La molteplicità fattoriale in alcune stenosi acquisite e la frequente associazione con una instabilità vertebrale determinano una  prognosi ed una terapia differente. La schematizzazione delle scelte terapeutiche risulta difficile sia per la mancanza di una semplice classificazione che comprenda  i vari fattori che possono concorrere alla determinazione della malattia, sia per la difficoltà di utilizzare un linguaggio comune non solo nella classificazione delle stenosi, ma anche nella diagnosi e terapia. Lo studio funzionale del rachide e la ricerca di una corrispondenza dei quadri clinici in rapporto alla funzionalità della colonna vertebrale hanno introdotto il criterio di una valutazione sia statica che dinamica della stenosi. Pertanto, a nostro parere, la diagnosi deve essere indirizzata verso tale valutazione. Solo dopo una accurata valutazione dei vari fattori che sono responsabili del quadro clinico è possibile eseguire una corretta scelta terapeutica.

Criteri di Diagnosi

   La diagnosi di instabilità e di stenosi del canale vertebrale lombare si basa sulla valutazione del quadro clinico, sullo studio radiografico, sugli accertamenti neuroradiologici e sulla elettromiografia.

L’anamnesi deve essere accurata e rivolta sia ad identificare l’esordio e le caratteristiche della sintomatologia dolorosa, sia alla ricerca di patologie, di pregressi interventi chirurgici, di fattori costituzionali e lavorativi che possono concorrere all’instaurarsi della malattia. L’esordio è in genere subdolo ma progressivo; si può manifestare con sintomi lombari, radicolari o lomboradicolari. Vi può essere un interessamento monoradicolare o pluriradicolare, monolaterale o bilaterale. I disturbi si attenuano con il riposo e si accentuano con l’affaticamento o sotto sforzo. La claudicatio intermittens è il sintomo più caratteristico, si manifesta con la comparsa di parestesie o dolori ad uno o ad entrambi gli arti inferiori durante la deambulazione o la stazione eretta e la loro scomparsa in posizione seduta o a riposo. L’autonomia della deambulazione può essere notevolmente ridotta e nei casi estremi si possono associare disturbi sfinterici. Il quadro clinico è caratterizzato dalla scarsa obiettività neurologica periferica, in contrasto con la gravità dei disturbi soggettivi. La limitazione funzionale del rachide è spesso l’unico segno obiettivo rilevabile. In alcuni casi è possibile evidenziare segni di compressione mono o pluriradicolare.

   L’esame radiografico di primo accertamento deve essere eseguito in scarico nelle proiezioni antero-posteriore, laterale e oblique. Consente di valutare: morfologia e struttura dei corpi vertebrali, morfologia e altezza del disco intervertebrale, morfologia delle articolari posteriori, dell’istmo, dei peduncoli e dei forami di coniugazione e gli assi di carico. E’ fondamentale per identificare sede ed entità delle alterazioni artrosiche, nonché variazioni degli assi di carico provocate da antero o retrolistesi. La presenza di ipertrofia ed artrosi delle articolari, o di una importante riduzione dell’altezza discale, specialmente se associata ad osteofitosi posteriore dei corpi vertebrali possono far sospettare una stenosi del canale vertebrale, mentre una perdita degli assi di carico possono far sospettare una instabilità. Sui dati radiografici acquisiti si completa lo studio della colonna lombare in ortostatismo e con le radiografie funzionali che meglio quantificano l’entità della instabilità vertebrale.

   La TAC è un esame molto importante per valutare la morfologia e le dimensioni del canale vertebrale. L’ottima risoluzione di immagine per l’osso, ottenuta utilizzando idonee finestre e algoritmi per lo studio della componente ossea e la possibilità di ricostruzioni delle immagini su piani sagittali, obliqui e tridimensionali consente una precisa valutazione della morfologia e delle dimensioni del canale vertebrale, dei recessi laterali e dei forami intervertebrali, consentendo una diagnosi di sede della stenosi. Consente inoltre di valutare una concomitante presenza di ernia discale. I limiti della TAC sono l’impossibilità di eseguire un esame dinamico, la non agevole valutazione dei rapporti fra le strutture nervose ed il canale vertebrale che rende difficile valutare l’entità della compressione delle strutture nervose, la possibilità di non evidenziare la stenosi nei segmenti non inclusi negli esami standard.

   La RM  è una indagine multiplanare che permette di acquisire immagini sagittali, assiali e coronali della colonna vertebrale. Fornisce un massimo contrasto e risoluzione delle parti molli evidenziando i rapporti fra la struttura scheletrica e le formazioni nervose. La RM costituisce attualmente, nella nostra esperienza, l’esame di elezione nello studio delle instabilità e stenosi del canale vertebrale. Infatti la possibilità di eseguire esami con o senza mezzo di contrasto sia in condizioni standard che in flesso-estensione, grazie all’uso di apparecchi con magnete aperto, fornisce sia la possibilità di valutare i rapporti fra le strutture scheletriche e gli elementi nervosi, sia di valutare le variazioni di questi rapporti in funzione del movimento.

   La saccoradicolografia funzionale, da noi utilizzata in passato, è, ancor oggi, l’accertamento neuroradiologico che consente una migliore valutazione dell’entità ed estensione della stenosi e della instabilità, poiché riproduce i momenti funzionali dinamici che si realizzano durante la stazione eretta e la deambulazione. Ma sia il diffondersi  della TAC e della RM, sia l’invasività dell’indagine e non ultimo i problemi medico-legali relativi alla introduzione di mezzi di contrasto iodati hanno ridotto notevolmente il numero di strutture dove questo esame è ancora praticato.

   Recentemente è stata introdotta una nuova metodica di studio denominata Axial Loaded- Computed Tomograpy (AL-CT) che mediante acquisizione successiva di esami TAC basali e con carico assiale consente una valutazione di instabilità radiograficamente non valutabili. L’uso di un Compressore Assiale permette di eseguire un carico assiale variabile e riproducibile in un soggetto supino. Il confronto fra le scansioni basali e sotto carico e delle immagini ricostruite sui piani sagittali e tridimensionali specialmente in sequenze cine consentono una chiara valutazione di tutte le componenti dell’unità funzionale motoria ed in particolare l’incremento o accentuazione di protrusioni discali, la scomparsa del vacuum discale e/o intraarticolare durante la compressione, l’accentuazione della listesi, la visualizzazione dell’ipermotilità delle faccette articolari, la riduzione di ampiezza dei forami di coniugazione, l’ispessimento dei legamenti gialli.

   L’EMG è spesso negativa; ha lo scopo di evidenziare l’interessamento mono o pluriradicolare ed è quindi di particolare ausilio quando i segni neurologici obiettivi sono negativi.

            

La scelta chirurgica

   In base agli accertamenti diagnostici possiamo distinguere quattro tipi di alterazioni anatomo-funzionali con quadri clinici spesso similari: una stenosi senza instabilità che può essere interessare uno o più livelli, essere monolaterale o bilaterale; una stenosi con associata instabilità ad uno o più livelli; una instabilità senza stenosi ed una instabilità con stenosi secondaria. L’inquadramento di queste entità anatomo-funzionali e dei diversi quadri clinici può essere difficile ma è fondamentale per la scelta chirurgica.                                                                                       

   La stenosi senza instabilità può essere secondaria a patologia degenerativa, ad esiti di frattura, a malformazioni congenite (acondroplasia) o a malattie metaboliche (morbo di Paget). La scelta chirurgica deve tener conto dell’età e condizioni generali del paziente, del quadro clinico (sintomatologia ed esame obiettivo), della sede ed estensione della stenosi. Presupposti fondamentali sono la decompressione del sacco durale e delle radici in tutta l’estensione della stenosi e la necessità di non determinare una patologia iatrogena rappresentata da una instabilità o da una fibrosi peridurale costrittiva. La laminectomia è ancora l’intervento più utilizzato. In base al quadro clinico e neuroradiologico può essere eseguita ad un solo livello o a più livelli, monolaterale o bilaterale. E’ indicata nei soggetti anziani con diffusa stenosi centrale, nella stenosi laterale con marcata ipertrofia delle articolari superiori ed inferiori ad estrinsecazione sulla linea mediana, in presenza di una paraparesi. Alla laminectomia, per liberare le radici nervose, può essere associata una resezione della parte mediale delle articolari o una artrectomia parziale o totale con eventuale foraminotomia. La discectomia può essere associata solo in caso di concomitante presenza di ernia discale. L’ artrodesi vertebrale, per prevenire una instabilità secondaria, é indicata nelle laminoartrectomie bilaterali nei  giovani, quando l’altezza del disco è conservata o quando è stata associata una discectomia. La laminotomia bilaterale con resezione parziale della parte mediale delle articolari, è indicata nel trattamento delle stenosi centrali dei soggetti giovani. Nella stenosi laterale, per decomprimere la radice nervosa è necessario associare alla laminotomia una artrectomia parziale ed una eventuale foraminotomia. La laminotomia può essere monolalerale o bilaterale, ad uno o più livelli.  Ha il vantaggio di non destabilizzare la colonna vertebrale anche se eseguita a più livelli, per cui, in genere, non è necessario associare una artrodesi vertebrale.

   Nella stenosi con instabilità i presupposti chirurgici devono tener conto di decomprimere il sacco durale e le radici nervose e di stabilizzare la colonna vertebrale. La spondilolistesi degenerativa è la patologia più rappresentativa di questo gruppo. La sola decompressione neurologica, basata sui criteri precedentemente descritti, indicata nelle spondilolistesi degenerative stabili, può accentuare l’instabilità nelle forme instabili; in questi casi è sempre necessario associare una artrodesi vertebrale. L’artrodesi postero-laterale è, in genere, sufficiente per una buona stabilizzazione. Nelle sindromi a prevalente sintomatologia lombare può essere sufficiente la sola artrodesi postero-laterale con o senza strumentazione. Una sintesi con fissatore interno evita l’immobilizzazione post-operatoria. Nelle sindromi a prevalente sintomatologia lomboradicolare è necessario associare all’artrodesi postero-laterale una laminectomia mono o bilaterale. La decompressione neurologica e la riduzione della spondilolistesi è indicata quando lo scivolamento supera il 20% ed in presenza di gravi alterazioni neurologiche.

   Nella instabilità senza stenosi abbiamo identificato le instabilità cliniche e le instabilità iniziali, prima che le alterazioni anatomo patologiche possano determinare anche una stenosi. Spesso sono difficili da  valutare, perché la loro documentazione non è agevole. Sono in genere secondarie a patologia  degenerativa discale e/o articolare (retrolistesi, anterolistesi), ad interventi di laminectomia,  di discectomia, di artrodesi (patologia giunzionale, pseudoartrosi) o a malformazioni congenite (lisi istmica). I presupposti chirurgici devono tener conto di stabilizzare la colonna vertebrale, di creare un corretto allineamento assiale o di ricostruire una integrità anatomica. La scelta chirurgica è spesso difficile e dipende dalle caratteristiche del quadro clinico, che, anche in queste sindromi, può manifestarsi con sintomi prevalentemente lombari o lomboradicolari. Nella retrolistesi, denominata da Steffee instàbilità verticale, il riallineamento assiale è fondamentale. La sintesi posteriore in distrazione e la artrodesi postero-laterale può essere insufficiente. Il corretto e stabile allineamento si ottiene più agevolmente con una artrodesi intersomatica posteriore con cages (PLIF) ed una sintesi posteriore. Questa può essere eseguita con viti transpeduncolari o translaminari. Nella anterolistesi  l’artrodesi postero-laterale con o senza strumentazione è sufficiente . Nelle instabilità post-laminectomia o post-discectomie, quando la sindrome è prevalentemente lombare , l’artrodesi postero-laterale é sufficiente. La sintesi con viti transpeduncolari o, se possibile, con  viti translaminari evita l’immobilizzazione post-operatoria. Se, invece, la sindrome è prevalentemente lomboradicolare o radicolare, è necessario eseguire una neurolisi ed una artrodesi intersomatica posteriore con cages associata ad una artrodesi postero-laterale e sintesi con viti transpeduncolari o viti translaminari. Nella patologia giunzionale è sufficiente l’estensione dell’artrodesi posteriore al segmento instabile; nella pseudoartrosi il courettage, la cruentazione e l’applicazione di nuovi innesti. Nella lisi istmica e nelle spondilolistesi inferiori a 15% si può eseguire, nei soggetti di età inferiore a 25 anni o con disco non alterato alla RM, la ricostruzione dell’istmo con viti peduncolari, cerchiaggio in compressione ed innesto iliaco; negli altri casi è sufficiente una artrodesi postero-laterale con o senza strumentazione.           

   L’instabilità con stenosi secondaria è costituita prevalentemente dalla spondilolistesi istmica. Generalmente nella spondilolistesi istmica nonostante la alterazione morfologica del canale vertebrale e dei forami intervertebrali, il sacco durale e le radici nervose hanno uno spazio sufficiente e si adattano senza conseguenze alla situazione anatomica. Quando lo scivolamento supera il 30-35% si possono evidenziare conflittualità degli elementi nervosi con il corpo della vertebra sottostante o con l’arco posteriore della vertebra listesica. Responsabile del quadro clinico è l’instabilità che accentuando la deformazione e quindi la stenosi del canale vertebrale determina una conflittualità degli elementi nervosi con gli elementi ossei e capsulo-legamentosi a livello centrale, nei recessi laterali o nei forami intervertebrali con l’instaurarsi di sindromi cliniche raramente solo lombari, più frequentemente lomboradicolari mono o pluriradicolari, mono o bilaterali. Gli esami radiografici e neuroradiologici  funzionali documentano tale conflittualità. La instabilità da patologia degenerativa può determinare anche una stenosi secondaria in particolari situazioni come nella patologia giunzionale non precocemente trattata. I presupposti chirurgici devono tener conto di stabilizzare la colonna vertebrale, riequilibrare il rachide sul piano sagittale, decomprimere gli elementi nervosi. La scelta chirurgica deve tener conto del quadro clinico (lombare o lomboradicolare),dell’età, della sede, dell’entità dello scivolamento e della instabilità, dell’assetto assiale del rachide nel piano sagittale. Nei rari casi di sola sindrome lombare, indipendentemente dalla entità dello scivolamento vertebrale, se è presente un buon equilibrio sagittale del rachide, la artrodesi vertebrale in situ può essere sufficiente per una buona stabilizzazione. Nelle spondilolistesi inferiori al 50% si può eseguire una artrodesi postero laterale con o senza strumentazione; nelle spondilolistesi superiori al 50% è preferibile una artrodesi intersomatica anteriore. Nelle sindromi lomboradicolari l’entità della compromissione neurologica è determinante nella scelta chirurgica. La stabilizzazione con artrodesi in situ può essere indicata nelle sindromi lomboradicolari con modesto interessamento neurologico, con uno scivolamento inferiore al 50%, con una altezza discale ridotta di almeno il 50% e con un buon equilibrio del rachide nel piano sagittale. L’artrodesi postero-laterale con o senza strumentazione è in genere sufficiente. Generalmente si utilizza una sintesi transpeduncolare, ma si può utilizzare una sintesi peduncolosomatica con 2 viti AO di diametro 6,5 e lunghezza del filetto 16 mm che determina una compressione discale e che assicura una lieve riduzione della listesi ed ottima stabilizzazione. In base al quadro clinico radiografico  si può associare una decompressione radicolare mediante laminoartrectomia o foraminotomia. La  riduzione e artrodesi è indicata nelle spondilolistesi con importante interessamento neurologico, nelle spondilolistesi tra 20% e 50% ma con conservazione dell’altezza discale, nelle spondilolistesi superiori al 50% e quando vi è uno scompenso del rachide nel piano sagittale. Negli adolescenti è indicata una riduzione incruenta con la tecnica di Scaglietti e una artrodesi intersomatica anteriore. Questa metodica necessita di una immobilizzazione gessata fino alla consolidazione dell’artrodesi valutata in circa 4 mesi. In tutti gli altri casi, oggi, é preferibile eseguire una riduzione intraoperatoria della spondilolistesi mediante un adeguato strumentario, sotto controllo radiografico e con una visione diretta degli elementi nervosi attraverso ampia laminectomia. L’artrodesi deve essere circonferenziale mediante uso di cages intersomatiche e sintesi con viti transpeduncolari. Tale metodica assicura la stabilità della riduzione ottenuta.      

Conclusioni

   La diagnosi di instabilità e di stenosi del canale vertebrale lombare si basa sulla valutazione del quadro clinico, sugli accertamenti radiologici e neuroradiologici. Se l’accurata anamnesi e l’esame clinico orientano verso una corretta diagnosi, è necessaria una conferma dagli esami strumentali. I progressi della tecnica con l’introduzione della TAC spirale e della RM con magnete aperto hanno contribuito notevolmente ad identificare i vari fattori che possono concorrere a determinare il quadro clinico. Se generalmente la diagnosi è agevole, nelle instabilità cliniche o iniziali l’identificazione della sindrome può presentare qualche difficoltà. L’AL-CT che è una metodica da poco tempo introdotta, potrebbe essere d’aiuto per l’inquadramento di queste sindromi; ma necessita ancora di studi e di ulteriori verifiche. E’ auspicabile adottare una classificazione che comprenda tutti i fattori che concorrono alla determinazione della malattia e di utilizzare una terminologia comune nella classificazione, diagnosi e terapia. In base agli accertamenti strumentali abbiamo identificato quattro entità anatomo-funzionali responsabili di varie sindromi cliniche: la stenosi senza instabilità, la stenosi con instabilità, la instabilità senza stenosi e la instabilità con stenosi secondaria. Ad ogni entità anatomo-funzionale possono confluire diverse patologie; in alcuni casi è la gravità della malattia che determina l’appartenenza ad una determinata entità anatomo-funzionale. La schematizzazione della scelta chirurgica risulta più agevole se si adotta una classificazione su base anatomo-funzionale.            

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